Il pasticcio della riforma: che ne è dell’art 371 c.c.?

È forse con eccesiva fretta che si è voluto aprire il sipario della riforma Cartabia sulla giurisdizione volontaria. E così, al condivisibile timore della classe notarile di non farsi trovare sufficientemente pronta al nuovo ruolo di grande delicatezza affidatole con anticipo nei tempi, ha da aggiungersi la confusione generata da un disegno dagli obiettivi ambiziosi e ammirevoli, ma dai troppi lati oscuri che comportano sforzi significativi. Ad esempio, quello volto alla comprensione dei motivi sottesi alla scelta di intervenire su alcune disposizioni e non su altre pure rannodate nella medesima area. Certo la collocazione codicistica spesso non è d’ausilio in tal senso.

È il caso, ad esempio, dell’articolo 371 c.c.. Trascurato dalla riforma. E non se ne rinvien la ratio. Ma inquadriamo il problema.

Si è visto che la riforma Cartabia, in tema di continuazione dell’attività di impresa commerciale, da un lato continui a riservare all’autorità giudiziaria la competenza al rilascio di relative autorizzazioni. Dall’altro, anche in subiecta materia, il baricentro si sposta dal tribunale al giudice tutelare. Di qui la modifica apportata agli articoli 320 V° c.c. quanto ai minori sotto responsabilità genitoriale, 397 c.c. quanto ai mori emancipati, nonché all’art 425 c.c. per gli inabilitati. Ebbene, la continuazione all’attività di impresa nel caso di minori sotto tutela e interdetti rinviene la sua disciplina nell’art 371 c.c.. Tale disposizione, tuttavia, pare sfuggita all’occhio della riforma. La conseguenza è paradossale. Nel solo caso di minori sotto tutela ed interdetti varrà la vecchia regola. Ove, cioè, si intenda continuare l’esercizio dell’impresa commerciale continuerà ad essere il tribunale l’autorità di riferimento. Precisamente il tribunale dei minorenni nel caso dei minori sotto tutela e tribunale ordinario nel caso di interdetti.

E non è tutto. Nell’orbita dell’articolo 371 c.c. sembra doverosa un’ulteriore bipartizione a seconda che detto provvedimento venga preso in sede di apertura della tutela ovvero in un momento successivo rispetto ad essa.

Già perché la disposizione in commento predispone la disciplina in fase di apertura della tutela. Sede in cui è la decisione in merito alla convenienza di continuare l’azienda commerciale è presa dallo stesso giudice tutelare su proposta del tutore. Solo nel caso in cui il giudice tutelare stimi evidentemente utile la continuazione, allora il tutore domanderà l’autorizzazione al tribunale.

In ogni fase successiva all’apertura della tutela, la decisione del giudice tutelare degrada a mero parere per tosto venire sostituita dalla decisione del tutore sulla cui base il tribunale valuterà se rilasciare o meno l’autorizzazione. Pertanto, nell’ipotesi da ultimo prospettata saranno ben due i provvedenti necessari: autorizzazione del tribunale e parere del giudice tutelare.

Fortunatamente, l’articolo in disamina non rientra tra quelli richiamati in tema di beneficiario di amministrazione di sostegno. Dato che lascia ben sperare che per detto soggetto possa valere la competenza del giudice tutelare come per tutte le altre categorie bisognose di misure di protezione. È fatta naturalmente salva la previsione di cui all’ultimo comma dell’articolo 411 c.c..


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