Decaduto il socio moroso, ogni suo diritto sociale cessa.
Decadenza significa infatti esclusione del socio dalla compagine di riferimento. Eppure la società ha un ulteriore anno di tempo a disposizione per collocare le sue partecipazioni. Infruttuoso e vano anche quest’ultimo esperimento, non resta che procedersi all’annullamento di dette partecipazioni con conseguente riduzione del capitale sociale.
La riduzione del capitale cagionata dalla morosità di un socio si pone, dunque, quale extrema ratio di fronte ad un’ormai assodata mancanza di alternative fruibili. La stessa esclusione del socio moroso è condicio sine qua non per l’adozione della delibera di riduzione. In altri termini, se la società è giunta al punto di deliberare la riduzione del capitale per morosità, deve presupporsi la già pronunciata decadenza del socio che di quella riduzione è stato causa.
Di che tipo di riduzione si tratta? Partiamo dai punti certi.
Nessun dubbio sull’obbligatorietà di detta riduzione.
Sì come pacificamente si individua l’organo deputato a siffatta operazione nell’assemblea straordinaria.È la modifica statutaria che giocoforza ne consegue a permettere una pronta individuazione della competenza.
La questione più delicata è invece quella relativa alla natura della riduzione in commento. Senza addentrarci nel tecnicismo dell’argomento, sembrerebbe prevalere la tesi del carattere nominale. Il che significa che l’operazione che viene a coinvolgersi consiste in un mero adeguamento della cifra del capitale sociale al già minor valore del patrimonio. Insomma, tale riduzione non risulta accompagnata da alcun decremento patrimoniale.
Spinge verso questa chiave di lettura il fatto che, decorso un anno dalla pronuncia di decadenza, le somme non ancora versate, finiscano per costituire ormai una perdita con cui la società è chiamata a fare i conti.
Mentre tutte le somme già riscosse dal moroso, che ben possono superare il 25%, che sol costituisce il minimo insidacabile, vengono trattenute dalla società a titolo di penale. Nulla spetta al moroso. Anzi, è salvo il risarcimento degli ulteriori danni. È quindi di tutta evidenza la logica sanzionatoria.
Da un lato l’obbligatorietà della riduzione per morosità implica costrizione della società a procedere in tal senso. Il che si traduce in una scelta scevra di qualsivoglia volontà.
Dall’altro il profilo nominale è indice di assenza d’ogni peggioramento rispetto alla situazione di partenza. Significa che i creditori sociali nulla avranno da lamentare.
Per l’effetto, la riduzione per mora non attribuisce alcun diritto di opposizione in capo ai creditori sociali.