Un tetto minimo per due varianti

Prevedere un possesso minimo di 100 azioni da 1 euro o fissare il valore nominale delle azioni a 100 euro: c’è una qualche differenza? Non bisogna certo essere dei matematici per rispondere in termini negativi al quesito posto. Quantomeno da un punto di vista quantitativo.

Benché il legislatore si sia limitato a stabilire tetti minimi e massimi nelle sole cooperative (l’art. 2525 I° c.c., individua come il valore nominale di ciascuna azione o quota non possa essere inferiore a 25 Euro, né per le azioni superiore a 500 Euro), il Consiglio Notarile di Milano con la Massima n. 202 del 5 luglio 2022 afferma la legittimità di imporre un tetto minimo di partecipazione a capitale mediante apposite clausole statutarie.

D’altronde, è l’ordinamento stesso ad accordare rilevanza al possesso minimo di partecipazioni per l’esercizio di taluni diritti sociali. Basti pensare, in tema di S.p.a., al diritto di convocazione dell’adunanza su richiesta dei soci, di impugnazione delle delibere annullabili, di denunzia di fatti censurabili al collegio sindacale nonché al tribunale per gravi irregolarità.

Due le declinazioni che tali clausole sono capaci di assumere:

  • Come limite alla circolazione delle partecipazioni, con inefficacia del trasferimento verso la società in caso di violazione. Con titolarità che, nell’eventualità patologica, continuerebbe ad essere del socio alienante;
  • Quale requisito per la legittimazione all’esercizio di alcuni diritti sociali. Quelli disponibili dall’autonomia statutaria, più nello specifico. Fondamentale che non si finisca per subordinare o far cessare il riconoscimento dello stesso status socii ad una detenzione rispettosa di detto minimo. Contrasterebbe con i capisaldi del dritto societario dacché si tradurrebbe in una o più partecipazioni sociali del tutto svuotate d’ogni diritto di sorta. E se già qualche socio risultasse titolare di un numero di partecipazioni inferiore al tetto minimo? Tale circostanza sarebbe preclusiva alla sua introduzione in statuto? Niente affatto. Ci si dovrà semplicemente preoccupare di recuperare il consenso di quanti immediatamente finirebbero per subire il pregiudizio. Consenso che andrà ad aggiungersi alle ordinarie maggioranze richieste.

L’ultimo sguardo, al diritto di recesso. Nelle S.r.l. introduzione, modifica ed eliminazione di siffatte clausole esulano dalle cause legali di recesso.

Nelle S.p.a., al contrario, non potrà prescindersi dal riconoscersi il diritto di recedere ove il tetto minimo valga quale requisito di legittimazione, ex art. 2437 I g) c.c.. Qualora la clausola, invece, si atteggi quale limite alla circolazione, il recesso, per quanto previsto dall’art 2437 II b) c.c., potrà essere oggetto di deroga a fronte di una diversa volontà della compagine.

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