L’ultima decisione della Corte Costituzionale

In merito alla differente disciplina prevista dal Codice Civile relativamente alla partecipazione del convivente di fatto all’impresa familiare, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 148 del 25 luglio 2024, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 230-bis, terzo comma, del Codice Civile, nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella in cui collabora anche il convivente di fatto.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter del Codice Civile, poiché tale disposizione riconosce al convivente di fatto una tutela significativamente inferiore rispetto a quella garantita ai familiari.

Nella sentenza, la Corte Costituzionale ripercorre le più importanti riforme del diritto di famiglia, in particolare:

  • la riforma del 1975, con la legge n. 151/1975, che introdusse l’art. 230-bis del Codice Civile, con il primo riconoscimento di tutele al familiare che presta la propria attività di lavoro in modo continuativo nell’impresa, superando la presunzione di gratuità dell’apporto lavorativo del familiare stesso;
  • la riforma del 2016, con la cosiddetta legge Cirinnà (n. 76/2016), che ha esteso al convivente di fatto che presti il proprio lavoro nell’impresa familiare una tutela economica, concretizzata con l’introduzione dell’art. 230-ter del Codice Civile.

Pur riconoscendo la distinzione tra la famiglia fondata sul matrimonio e la convivenza di fatto, la Corte Costituzionale ha ritenuto necessario garantire una tutela equivalente, riconoscendo al convivente il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, essendo tali diritti considerati fondamentali e costituzionalmente tutelati. Proprio in quest’ottica, la componente del lavoro prestato all’interno dell’impresa familiare è la medesima sia se prestata dal coniuge, sia se prestata dal convivente di fatto.

Un’ulteriore considerazione svolta dalla Corte riguarda l’evoluzione sociale e legislativa, che ha riconosciuto dignità e protezione ai conviventi di fatto nella regolazione dei loro rapporti.

In conclusione, la Corte Costituzionale evidenzia la “contraddittorietà logica dell’esclusione del convivente dalla previsione di una norma posta a tutela del diritto al lavoro, che va riconosciuto quale strumento di realizzazione della dignità di ogni persona, sia come singolo che quale componente della comunità”. In considerazione dei contrasti con gli articoli 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione, la Corte estende la tutela prevista dall’art. 230-bis del Codice Civile per i familiari che prestano la propria attività nell’impresa familiare anche ai conviventi di fatto.

Ai fini dell’applicazione di tali disposizioni, per conviventi di fatto si intendono “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale” (art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016).

Dichiara, di conseguenza, illegittimo anche l’art. 230-ter del Codice Civile, in quanto riconosce una minore tutela al convivente di fatto che presti la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente.

 

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