La controproposta del negozio di messa in comunione

Eccezione operante ex se, eccezione operante su spinta delle parti.

Nell’ultimo focus si è in conclusione data evidenza dell’unico caso in cui ex se, quindi del tutto automaticamente, per il tramite di un’unica divisione, si ha modo di addivenire allo scioglimento di masse plurime. Come si ricorderà, tale è l’ipotesi dell’ultima massa in comunione dalla provenienza successoria. Ebbene, al di fuori di tale evenienza, è tradizionalmente precluso dividere il tutto uno actu.

All’intero di questo scenario, così rigidamente delineato, si prospetta un’alternativa atta pur essa a risolvere il problema alla radice, evitando la necessità di effettuare tante divisioni per quante siano le masse. Trattasi del negozio di messa in comunione.

Questa la dinamica:

  1. ciascuno dei comunisti conferisce i diritti di cui è contitolare nelle distinte comunioni
  2. nasce così una nuova comunione. Meglio, un nuovo unico titolo di comproprietà, distinto rispetto alle varie masse originarie
  3. ciascun soggetto conserva la propria quota di diritto invariata rispetto a quella derivante dai titoli originari
  4. ma, soprattutto, elemento decisivo, avendo la nuova comunione un nuovo titolo costitutivo, la stessa può esser sciolta con un’unica divisione.

In tal caso si segnala che il passaggio allo scioglimento in un’unica soluzione opera su base volontaria, su spinta e precisa richiesta, cioè, delle parti interessate. Deve invero realizzarsi uno specifico ed apposito negozio giuridico da cui possa inequivocabilmente evincersi tale condivisa volontà. Negozio autonomo, ma prodromico e necessariamente collegato con quello successivo divisorio non avendo ragion d’essere qualora non si proceda alla divisione di tale unica comunione. Tale congegno negoziale si atteggia proprio quale preparatorio alla divisione. Si modifica lo stato di fatto, ma tecnicamente ogni condividente diviene titolare di una quota della nuova comproprietà proporzionale alle quote vantate sulle diverse masse.

Non pochi autori continuano a considerare il negozio di messa in comunione alla stregua di un banale contratto di permuta. Come se il singolo trasferisse una quota su una singola comunione ottenendo in cambio una quota dell’unica massa complessiva. A ben vedere, è lo stesso legislatore a riconoscere al negozio in esame uno spazio a sé. Prova ne siano gli artt 1350 n 3 e 2643 n 3 cc. Tanto lascerebbe tosto pensare ad un contratto dall’autonoma causa. Allo stato dell’arte resta, ad ogni buon conto, aperta la questione sulla qualificazione civilistica dello strumento al vaglio.

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