Nullità per violazione del divieto dei patti successori anche per quei contratti che pur si limitino in prima battuta ad obbligare le parti ad una determinata futura istituzione, disposizione ovvero rinuncia successoria. Sono avvinti dalla medesima sanzione i patti successori obbligatori. In definitiva, del tutto prescindendo dal fatto che sia destinata a sortire un effetto immediato ovvero abbia semplicemente a vincolare una futura condotta, qualsiasi negoziazione ove la morte, ancora non avvenuta, funga da causa attributiva, è colpita da invalidità. Il che si concretizza in una confermata assoluta libertà del de cuius di disporre come meglio creda pure in pendenza di un previo accordo.
Ma se il patto successorio obbligatorio altro non è che l’accordo che sigilla l’impegno intercorso tra le parti, ci si attende che ad esso faccia seguito un successivo atto esecutivo. Può essere quindi interessante esaminare la sorte degli atti successivi compiuti in adempimento dell’obbligo assunto. A ben vedere, la risposta è piuttosto articolata. Si intende succintamente soffermarsi sulle sole disposizioni attuative dei patti obbligatori istitutivi, uniche rinvenibili all’interno dell’atto di ultima volontà.
La disposizione sarà validamente formulata se compiuta senza che il testatore si senta obbligato in tal senso. Nonostante la presenza del patto, cioè, egli di sua sponte avrebbe comunque deciso di regolare la propria vicenda successoria ricomprendendovi quella determinata istituzione ereditaria. La sua volontà resta incontestabile.
Profili di invalidità sorgono, invece, ove l’istituzione sia dettata esclusivamente dall’accordo intercorso.
E così, l’atto esecutivo istitutivo sarà annullabile per illiceità del motivo, ove il motivo illecito consta nel precipuo scopo di rispettare l’impegno consacrato nel patto che sol sorregge e al contempo giustifica la disposizione. A tal fine dovrà dimostrarsi l’esistenza di un accordo che abbia i requisiti di una valida ed irrevocabile fonte di obbligazione idonea a creare il vincolo.
Incorrerebbe, invece, in un errore di diritto, che del pari offrirebbe la possibilità di impugnativa, il testatore che procedesse all’istituzione ereditaria nella convinzione di esser obbligato ad una propria promessa unilaterale di disporre dei beni in un determinato modo, attesa l’inidoneità della medesima a creare alcun vicolo giuridico, e quindi a limitare la volontà del testatore.
Quanto esposto ha tradizionalmente portato a sostenere che ai fini dell’invalidità della disposizione testamentaria non possa prescindersi dall’espressa risultanza nel testamento del motivo e del ruolo determinante dello stesso. La mancata menzione del pregresso impegno assunto si considera sufficiente per preservare la bontà della disposizione.