Fino a che punto può spingersi la necessità di una decisione comune dei coniugi per le operazioni di straordinaria amministrazione?
La regola base della comunione legale può riguardare anche il frutto del lavoro separato di ciascuno dei due?
È il febbraio 2021 e la Cassazione con ordinanza n. 3767 ribadisce chiare lettere un principio già succintamente raccolto dallo stesso Codice civile. Nell’articolo 177 c) più precisamente.
La comunione legale non assorbe tutti i redditi individuali dei coniugi.
E allora, che ne è dei proventi dell’attività separata di ciascuno di essi durante il regime di comunione legale?
Anzitutto, servono per far fronte al dovere contributivo derivante dal vincolo matrimoniale. Consacrato nell’articolo 143 del Codice civile. Ciascun coniuge in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro è tenuto a sostenere i bisogni della propria famiglia.
Ma una volta assolto l’obbligo contributivo, nell’arco temporale che sorge alla percezione del reddito individuale e sfocia allo scioglimento della comunione legale, solo il coniuge percettore ne ha la titolarità.
Per l’effetto, potrà disporne a suo piacimento come crede, fino a consumazione. La libertà decisionale sull’impiego è massima. Né sarà tenuto a darne conto al proprio partner. Va, pertanto, in toto esclusa la necessità di recuperare il consenso di quest’ultimo. Insomma, il coniuge percettore del reddito può fare quel che vuole dei proventi individuali. Spenderli, investirli per quanto più gli aggrada.
Con un’accortezza. Che la spesa non comporti l’acquisto di un nuovo bene.
In caso contrario, inevitabile la sua caduta immediata nella comunione legale.
I redditi individuali, infatti, non sono beni personali surrogabili.
Ove invece il reddito non venga impiegato in acquisti, ma piuttosto venga tenuto a disposizione, il denaro residuo diviene di entrambi i coniugi solo allo scioglimento della comunione.
Quindi, i proventi dell’attività separata, in breve, rientrano nella comunione de residuo. Il loro ingresso nella comunione coniugale non avviene al momento della ricezione. Deve, piuttosto, attendersi la cessazione del regime della comunione legale ed in quel frangente confermarsi o meno la permanenza degli stessi. Solo allora, se e nei limiti in cui tali ricavi residuino, diverranno patrimonio comune di entrambi i coniugi con conseguente diritto del partner di pretenderne la metà.
In caso contrario, non potrà che prendersi atto dell’avvenuta consumazione.