Società: doppio binario per l’arbitrato?

Dal 2003, l'arbitrato societario si confronta con l'arbitrato di diritto comune.

Risale al 2003 il battesimo dell’arbitrato societario ed il suo ingresso a pieno titolo nell’ordinamento italiano. Epoca ben successiva rispetto al già da tempo esistente arbitrato di diritto comune. I due arbitrati iniziarono a contendersi la scena. E fu subito confusione. Segnatamente il dubbio era: una società che intendesse inserire in statuto la previsione della clausola compromissoria, doveva necessariamente avvalersi in via esclusiva dell’arbitrato societario o rimaneva sempre una scelta percorribile quella dell’arbitrato di diritto comune?

Il doppio binario fu una delle vie a lungo sostenute.

Ovvero la clausola compromissoria di cui all’articolo 34 d.lgs. 5/2003 mai si sostituirebbe in toto all’istituto disciplinato e previsto dall’articolo 806 e seguenti del codice di rito. Più semplicemente, ad esso andrebbe ad aggiungersi offrendo un’ulteriore e differente opzione per la compagine.

L’effetto? Non solo la validità delle clausole compromissorie statutarie preesistenti, pur nella loro mancata conformità rispetto al disposto di cui all’articolo 34. E ci si riferisce, in particolare, a quelle frequentissime clausole che prevedessero la nomina degli arbitri direttamente da parte dei soci. Ma perfino la possibilità di introdurre delle nuove clausole in statuto pur nel mancato rispetto dei limiti dettati dalla legge per l’arbitrato societario. Proprio perché l’arbitrato ordinario rappresenterebbe sempre una valida alternativa anche nel contesto societario.

Specialità assorbente, la risposta contrapposta. Ma soprattutto la risposta allo stato dell’arte necessariamente da seguire a seguito di intervento della Corte di Cassazione. È, insomma, ormai consolidato e pacifico che all’interno degli statuti è l’arbitrato societario ad avere l’esclusiva assoluta.

Per comprenderne i riflessi più dirompenti basti pensare che ha tassativamente da escludersi, pena la nullità della clausola stessa, la possibilità, ad esempio, che la nomina degli arbitri provenga da parte di soggetti interni rispetto alla società anziché terzi.

Con ciò non si deve cadere nell’errore di ritenere preclusa perfino la possibilità di arricchire la scelta statutaria dell’adozione dell’arbitrato rituale con l’indicazione che questo, a titolo di esempio, debba essere quello della camera di commercio di un determinato luogo. Invero, detta previsione non determina già la designazione dell’arbitro, il quale verrà in seguito nominato appunto dalla camera di commercio nel pieno rispetto del requisito della nomina proveniente da parte di soggetti terzi.

In sintesi, l’unico riferimento normativo ove la società voglia aprirsi alla possibilità dell’arbitrato sarà l’ossequioso rispetto dei limiti di cui all’art 34 d.lgs. 5/2003.

 

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