Coniugi in comunione legale dei beni. Qualsiasi acquisto compiuto durante il matrimonio, ancorché effettuato separatamente da ciascuno di essi, rientra in regime di comunione legale. Ma non esiste regola senza eccezioni.
Abbiamo già avuto modo di occuparci di quelle relative ai beni personali. Quei beni, cioè, che né al momento dell’acquisto né mai saranno idonei a rientrare in comunione tra i coniugi. Sono beni praticamente intoccabili dal partner. Sono quelli dell’articolo 179 del Codice Civile.
La seconda vistosa eccezione è quella dei beni c.d. della comunione de residuo, cui a suo tempo s’era fatto solo un cenno fugace. E bene, ora un recentissimo intervento della Cassazione a Sezioni Unite ci offre l’assist per soffermarci ed approfondire questo ulteriore strappo alla regola.
Sono beni della comunione de residuo quelli acquistati durante il regime di comunione legale, ma che si caratterizzano per non cadere immediatamente in detta comunione. Vi rientreranno solo eventualmente se non consumati ed ancora sussistenti allo “scioglimento” della stessa. Dunque, sempreché avanzino. Ma senza che sussista alcun obbligo in merito alla loro conservazione. Insomma, una caduta in comunione sicuramente differita nel tempo e, ad ogni modo, solo eventuale. Ecco perché si parla di comunione potenziale. Un automatismo per i coniugi in comunione legale. Non il frutto di una scelta di un differente regime patrimoniale.
Prima dello scioglimento, detti beni restano nella piena ed esclusiva disponibilità del coniuge titolare. Alla mercè dei suoi creditori personali. Anzi, la previsione della comunione de residuo sorge proprio sull’onda dell’esigenza pratica di consentire al coniuge titolare della res, solitamente imprenditore, una libera ed autonoma scelta gestionale senza ripercussioni in termini di rischi e responsabilità del partner. Invero, i beni interessati alla comunione de residuo sono beni destinati all’esercizio di impresa. Di quali beni stiamo allora parlando? Dei frutti percepiti dai beni propri e dei proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi. Dei beni destinati all’esercizio di impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e, comunque, di tutti gli inclementi dell’impresa costituita anche precedentemente, per quanto quest’ultima resti bene personale.
È evidente che detti beni non saranno mai in comunione legale, considerato che l’evento che condiziona la loro caduta è proprio lo scioglimento di detto regime. Né la cessazione dell’impresa sarebbe idonea a provocare il medesimo effetto. Ma allora a qual è il diritto che può vantare il coniuge non imprenditore su questi beni al momento dello scioglimento?
È questo il quesito di cui si sono occupate le Sezioni Unite.